“The real voyage of discovery consists not in seeing new landscapes, but in having new eyes”
“Il vero viaggio nella scoperta consiste non nel vedere nuovi luoghi, ma nel possedere nuovi occhi” Marcel Proust
Brad Howe si pone innanzi al fatto artistico costantemente con “nuovi occhi”, sebbene in lui rivive tutta la tradizione artistica americana dagli anni ’60 ai nostri giorni.
La bellezza dell’opera di Howe è tutta nella sua capacità come uomo e come artista di mettersi costantemente in discussione nel senso di voler ancora e ancora sempre apprendere, cimentarsi, esplorare nuove possibilità, cercare nuovi segni e nuovi significati.
Lo stupore del bambino di fronte a nuove scoperte: questo il senso della sua arte e questo l’approccio all’arte e alla vita. Una continua epifania di segno, accompagnata da un cromatismo esplosivo che sottendono un approccio all’esistenza di segno decisamente positivo.
Il senso del gioco, la visione ludica della vita per ricordarsi costantemente che : “la vita è anche gioco”. (Giuseppe Tiani)
Un senso e una capacità del “fare”, del vivere; fare arte, fare oggetti, fare studio, fare letteratura: produrre o riprodurre nella realtà frammenti di pensieri, esternazioni della mente, espresse attraverso il linguaggio cromatico e il linguaggio della forma: primordi della cultura umana ma tanto più universali perché alla base dell’espressività umana.
Il bambino si approccia alla realtà prima di tutto attraverso segnali di conoscenza (gli oggetti vengono conosciuti attraverso l’azione del metterli in bocca) e subito dopo attraverso la sperimentazione sul e col proprio corpo ; infine attraverso il segno e il colore: produzione di disegni attraverso l’uso del segno e del colore.
Questo l’approccio istintuale e contemporaneamente scientifico di Howe all’arte.
I suoi ispiratori vanno cercati certamente nella tradizione americana del 20° secolo , primo fra tutti il grande maestro Alexander Calder dal quale derivano le sospensioni e i suoi “divertissement” mobili. Eppure le sospensioni non rimandano, nell’immaginario collettivo, ai giochi che si attaccano alla culla dei neonati come primo approccio di questi ad una realtà che è ludica, ma è nel contempo primo apporto di conoscenza?
E ancora dalla POP Art deriva lo sguardo che indugia alla tradizione americana che ha segnato l’America del 20° secolo più di ogni altra sperimentazione: l’uso di certi materiali come l’alluminio, l’acciaio, il legno; la scoperta di una componente infantile e giocosa con uno sguardo ad Haring ; la componente fumettistica di un Lichtenstein, la coloristica di Rosenquist e Wesselmann.
Infine una speciale liason con Dennis Hoppenheim e i suoi Architectural Cactus del 2005, coevi alle sperimentazioni del nostro, che sono stati esposti presso la ACE Gallery di LA nel 2009.
Perfino accenni al minimalismo alla Kelly o alla Smith nei suoi monoliti del 2006 come in Zuma, Stello, Kimono ecc.
La tradizione americana viene rivissuta attraverso un accento fortemente geometrico dei lavori e con l’inserimento di questi nello spazio. Howe occupa lo spazio e con questo si confronta in una sorta di gioco al massacro nel quale non si sa realmente chi risulti vincitore. Howe si impone nello spazio, lo occupa, ma poi a ben guardare è lo spazio che non si assoggetta alle sue opere ma le accompagna: lo spazio ci gira attorno e le invade e, se esse sono invasive di uno spazio, anche lo spazio riesce poi ad invadere le opere: ci entra dentro, ne fuoriesce a piacimento, le accarezza o ci sbatte contro come qualcosa di tangibile.
I fori, i tagli, le superfici e gli angoli smussati sono tutti elementi che fanno sì che lo spazio giri attorno all’opera e la riempia.
Le proporzioni sono assolutamente magistrali e perfette; non vi è nulla che appaia lasciato al caso: la geometria come la matematica sono scienze esatte e questa esattezza diviene tangibile nelle sculture di Howe. La perfetta proporzione rispecchia la perfezione del calcolo matematico che diviene mezzo e fine di un lavoro sullo e dentro lo spazio.
Infine il colore che è retaggio del suo contatto col Sudamerica e col Brasile di Romero Britto: le bande di colori primi che si susseguono e si alternano o si sovrappongono nell’opera, una sorta di baiadera di colori che ricorda da vicino certi tessuti per abiti da festa del Sudamerica. Il carnevale reso scultura con la stessa musicalità ma col rigore geometrico della tradizione artistica del Nord America del 20° secolo.