Peter Lodato: apparenti geometrie
di Cynthia Penna
Peter Lodato nasce a Los Angeles, studia e si forma nelle scuole e nelle Università californiane di metà anni ’60; inizia la sua esperienza lavorativa in California e specificamente nella California del Sud. Questo significa molto nella sua esperienza artistica. Ricordiamo che alla metà degli anni ’60 iniziano a prendere consistenza tutti i movimenti politici e studenteschi centrati sulla non violenza, sulla protesta contro la guerra in Vietnam e sulla lotta all’apartheid dei Neri americani. Questo incredibile mix di idee politiche e sociali, in uno con la realtà circostante fatta di spazio e luce, hanno forgiato una personalità che ha saputo confrontarsi con tutte queste tematiche ed elaborarle in chiave artistica in modo eccellente.
Il tema principale di investigazione è per Lodato quella della visione in rapporto allo spazio e dell’illusorietà della visione stessa.
Le sue “apparenti” geometrie non hanno nulla a che fare con la geometria in sé, così come le “strisce “di colore che si alternano nelle opere non hanno nulla a che fare con un impianto di geometrico verticalismo.
I suoi campi di colore non definiti, dai margini oscillanti e sfrangiati , dai contorni mai netti sono veri e propri esperimenti di attraversamento di uno spazio illusorio e non reale.
Lodato insiste sui campi di colore che si susseguono o si alternano in una continuità di oscurità e chiarore che non è altro che “profondo chiaro” e “profondo scuro” di uno spazio che si può e si deve approfondire nel senso di penetrare e attraversare. L’alternanza degli spazi di colorazione differente è una sperimentazione, si badi, NON sul colore , ma sullo spazio stesso e sulla luce che lo permea. L’interesse di Lodato si risolve in un rapporto di luce e spazio che lo introduce e lo posiziona nell’ambito del movimento artistico Californiano denominato “Light and Space” che fu creato attorno agli anni ’60 da artisti come Mc Laughlin, che era stato grandemente influenzato dalla cultura asiatica e creò pitture che erano dichiaratamente una sorta di “meditazioni pittoriche” incentrate sulla penetrazione del “grande vuoto” al di là della tela.
In alcune opere di Lodato una sorta di “occhio” o buco circolare (dichiaratamente un omaggio dell’artista all’ “oculus” del Pantheon di Roma) fa filtrare la luce e mette immediatamente in relazione l’esterno con l’interno ed immerge in un’aura di trascendenza il tutto. Dai deserti californiani allo spazio chiuso del Pantheon di Roma, è la luce che determina la scena e determina altresì l’emozione di chi guarda.
A volte la luce penetra dall’esterno verso l’interno diffondendosi verso il basso e rischiarando la zona in basso della tela; in altre opere sembra che la luce attragga la visione verso l’alto in una sorta di “risucchio” verso l’esterno che assume caratteri di spiritualità e misticismo. Ma in realtà non è un afflato mistico a spingere l’autore, bensì una sperimentazione dello spazio e della luce che gli deriva dal “trend” prettamente “californiano” attorno al quale gira tutta la ricerca artistica dagli anni ’60 ad ora.
E’ in questo ambito che deve essere letta l’arte di Peter Lodato che continua a sperimentare a tutt’oggi l’interferenza dello spazio e della luce come fonte eterna ed inarrestabile di energia dell’anima.
Cynthia Penna Simonelli
Febbraio 2013