Modulazioni di Luce

 

 

di Cynthia Penna

 

 

La personalità:
Conoscere Laddie John Dill può considerarsi come uno degli incontri fortunati della vita e tale è stato per me l’incontro con la sua personalità estroversa, cordiale, mite della mitezza dei “ grandi ” e umile dell’umiltà che solo le “ grandi personalità ” possono permettersi.
La mitezza e l’umiltà della vera “ Cultura ” che affonda radici non solo nello studio teorico, ma anche nelle esperienze personali sul campo di battaglia della vita.
Questo, in estrema sintesi è l’uomo Dill. Poi c’è l’artista e il professionista dell’arte che, date quelle premesse, si sviluppa allo stesso modo con grandezza ed eccellenza e nel contempo con silenzio e lentezza. Non è un fuoco fatuo o una star dello star system dell’arte. E’ piuttosto un artista che inizia la sua ricerca da giovanissimo e la perpetua con caparbietà per tutta la vita, non lasciandosi mai affascinare da momenti di vana gloria, ma osservando quasi un rigore francescano o buddhista nella quotidianità dell’esplorazione artistica del suo talento SOLO attraverso un duro e infaticabile “ lavoro ”. Senza tregua, senza defaillance, senza timori reverenziali e soprattutto senza mai indulgere a superbia e a vanità.

Il percorso artistico:
California inizi anni ’60: tutto comincia in questa soleggiata terra fatta di deserti e di Oceano e di luce: una luce particolare, riflessa dalla superficie dell’acqua dell’oceano, intrisa di una foschia naturale che la rende ancor più violenta: una luce biancastra che quando incontra le immense distese di deserto posto immediatamente dietro l’Oceano, sembra materializzarsi in qualcosa che inizia a tremolare innanzi agli occhi confondendo la visione dell’orizzonte. Più o meno la stessa sensazione del miraggio che avviene nelle lunghe distese di deserto africano. Aria che diventa oggetto visivo.
La comunità di artisti che vive su questo territorio inizia ad avvertire la necessità impellente di una rottura con il passato e soprattutto col bidimensionalismo del mezzo pittorico limitato all’olio o acrilico su tela.
Il gruppo di ideologi riuniti attorno alla carismatica figura di Robert Irwin inizia a porsi il problema di come superare questa dicotomia e quali materiali sperimentare per elaborare e produrre Arte. Non solo, ma come conciliare il background “naturalistico” in cui sono immersi come condizione di vita e riversarlo in un prodotto artistico che stia fuori dalla pittura, fuori da schemi classici di resa della luce e dello spazio.
La sperimentazione passa attraverso i nuovi materiali che si iniziano ad introdurre nell’arte operando una transizione dalla quotidianità dell’uso degli stessi alla eccezionalità del prodotto artistico.
Plastiche, resine,neon e cementi,vetri, allumini, diventano mezzi espressivi di una intera generazione di artisti che li adopera snaturandoli della loro comune finalità industriale e quindi, diremmo oggi, modificandoli geneticamente, assoggettandoli a uso e finalità differenti. Una trasformazione dell’uso di attrezzature e di processi produttivi che da una finalità industriale assume una finalità artistica.
L’Humus esperienziale ed emozionale in cui viene immerso Dill è popolato da figure di grande spessore: la prima generazione di “rivoluzionari” formata da Frank Gehry, DeWain Valentine,Peter Alexander, Larry Bell, Ed Moses, che coagulano attorno a sé le nuove leve dell’arte per formare una Comunità di senso oltre che una comunità artistica; e tutto questo giunge oggi immutato fino a noi con una generazione di eredi di quell’humus intellettuale a cui hanno attinto perfino poeti e scrittori come Bukowski.
«Vivi in una città tutta la vita … Essendo cresciuto a Los Angeles, ho sempre avuto il sentimento geografico e spirituale di essere qui. Ho avuto il tempo di conoscere questa città. Non vedo altro posto che L.A.» (da un’ intervista a Charles Bukowski 1974).

Le opere:
Possiamo definire le opere di Dill come Vibrazioni di Luce perché dagli iniziali neon degli anni ’60 e ’70 (“ Light Sentence ”), alle composizioni di cemento e vetro, passando per le” Light Traps ” e le grandi installazioni di sabbia e neon, tutte sembrano vibrare di una “ sonorità visiva ” che modula la luce, la mescola, la intrappola e la dirige come in una sinfonia.
La poetica delle sue opere è data da un senso estetico della luce che viene intrappolata all’interno dello spazio per poi essere “ rilasciata ” e affluire verso lo sguardo dello spettatore; nelle opere di alluminio aerospaziale forgiato, denominate “ Light Traps ”, lo spettatore viene come rapito, ipnotizzato dal susseguirsi e sovrapporsi di linee sinuose, fluide, sensuali: una sorta di onde, onde di luce, che si muovono incrociandosi e sovrapponendosi costantemente e nel cui riflesso, lo sguardo si perde abbandonandosi ad una specie di “ sonorità musicale ” che è musica per gli occhi, completando così l’effetto ipnotico della visione.
L’alluminio non appare più come un metallo, bensì come una pasta fluida e iridescente in continuo movimento che vira dalle tonalità argentee a quelle più calde dell’oro e a colorazioni indotte dall’uso di pigmenti immersi nel metallo nel momento della forgiatura.
Lo spazio solo apparentemente sembra sezionato attraverso linee geometriche, ma non è questa la finalità dell’artista il quale invece adopera quella partitura al solo fine di completare un accadimento visivo, emozionale ed estetico. E in termini di estetica il rimando immediato e ineludibile va alle composizioni architettoniche del suo grande amico Frank Gehry e alle “ mattonelle ” di titanio e acciaio a copertura degli edifici da lui progettati: Museo Guggenheim di Bilbao, Disney Concert Hall di Los Angeles, Fondation Luis Vuitton di Parigi: impossibile negare l’esistenza di un rapporto ed una base concettuale comune determinata dall’ esigenza di intrappolare la luce e rifletterla verso l’occhio dello spettatore; ma questo non è per i due artisti che un mero espediente tecnico per realizzare opere che sottendano piuttosto un senso estetico della luce che è l’espressione massima dell’anima Californiana. Luce come espressività di un tutto; luce come esigenza ed espressione di religiosità dell’io, luce come sguardo sull’infinito interiore.
E’ l’anima californiana che si esprime attraverso la luce in pura poetica.
E quest’anima ha colto allo stesso modo il senso caravaggesco della luce nell’opera realizzata per la Fondazione Pio Monte della Misericordia di Napoli in cui Dill ha, parimenti a Caravaggio, “ sezionato ” la propria opera in sette immaginari spazi geometrici che non sono altro che puri “ spazi di luce ”, quella luce catturata da Caravaggio e poi “sbattuta in faccia” allo spettatore che ne viene “ schiaffeggiato ”, accecato e ipnotizzato. Facile per Dill penetrare la poetica del grande maestro con un’opera in cui la luce non è solo percezione visiva, ma contiene un verso interiore, un senso concettuale, intriso, come in Caravaggio, di religiosità e sensualità al tempo stesso, una religiosità laica che altro non è che il grande senso di spiritualità espresso da entrambi gli artisti.
Un momento di riflessione particolare va fatto per le grandi installazioni di sabbie, vetri e neon come quella realizzata per la mostra “ Venice in Venice ”, collaterale della Biennale di Venezia del 2011 a Palazzo Contarini Dagli Scrigni, e riedita in forma totalmente nuova per Villa di Donato di Napoli. In questa serie di opere l’unione concettuale degli elementi della Natura: terra, aria e fuoco immerge lo spettatore in un’atmosfera totalmente magica. Dalla sabbia/terra emerge una forma/spazio fatta di luce riflessa percettibile ed intangibile al tempo stesso. La “ compressione ” di luce al di sotto di una superficie , che nel contempo fuoriesce da questa superficie in maniera prepotente per irradiarsi nel contesto spaziale, non è altro che l’espressione estetica della potenza dell’energia che crea la vita.
Penetrando in queste stanze/installazioni lo spettatore viene come avvolto, rapito, e soggiogato dal senso di mistero profuso dall’ opera. Il medesimo senso di mistero e di magia che si avverte entrando nelle “stanze” di James Turrell: non è solo una esperienza sensoriale, è piuttosto un’atmosfera, un momento di vita interiore che va fatta in solitudine e silenzio perché è il mistero dell’Universo in rapporto all’interiorità dell’Io. La ricchezza dell’Universo in rapporto alla ricchezza interiore.

LUCE:
E così sulla luce e con la luce si fondono secoli, personaggi, caratterialità apparentemente lontanissime: dalla luce Caravaggesca fatta di fasci violenti gettati in faccia allo spettatore, alla luminosità veneta “globale” di Paolo Veronese, attraverso la luce a tratti avvolgente e diffusa, a tratti imperiosa e dura di Luca Giordano, alla luce rarefatta, e “ spaziale ” delle stampe di Hackert, alla luce a volte accecante e immediatamente trafiggente di Dan Flavin, si giunge alla poetica della luce e al mistero delle atmosfere di Dill.
Null’altro da dire: solo ” sentire ”.