L’ironia salverà il mondo. Da questa ferma convinzione Carla Viparelli si lascia guidare, sedurre e coinvolgere al punto di farne il proprio punto di riferimento, la propria cifra stilistica. Non è mai provocatoria pur essendo di rottura, è ammiccante anche se la scioltezza del suo dinamismo spiazza le attese. Come dire: eccomi qua, e da oggi in poi nulla sarà più come prima. E in effetti non si potrà mai più guardare un cavalluccio a dondolo senza pensare alla versione etilica del «Cavalcol», oppure pensare al pipistrello senza vederlo come un «Pìpimbrello», per non parlare del bottone abbandonato in un azzurro mare a raccontare «L’asola che non c’è».
E noi lì a sorridere, a stupirci, a pensare che al di là del gioco qualcosa veramente ci sta franando sotto i piedi. È lo spaesamento, il senso di straneamento da una realtà che troppo spesso non capiamo più, l’ignoto che avanza: ecco quello che ci rimandano questi lavori. E poi c’è l’assurdo da addomesticare, il non-sense da capire, digerire e trasformare in qualcosa di accettabile. Un lavoro fìlosofico, dunque, che si innesta sugli sberleffi delle avanguardie, che si nutre delle rivoluzioni di Duchamp, della sua Gioconda baffuta o della sua pazzesca rappresentazione di una bicicletta. L’artista cita gli artisti a lei parenti e precedenti: i surrealisti a cominciare da Magritte per arrivare a Man Ray; i futuristi con le loro parole-pitture onomatopeiche; il folle Dalì, la lezione del Pop: tutti così deflagranti a rompere equilibri e abitudini di un’arte che si voleva ancorata a regole d’accademia e di mercato.
Viparelli propone la leggerezza di una cultura immaginifica, e allo stesso tempo uno studio del linguaggio che destruttura parole e significati per inventare nuove forme di comunicazione: i doppi sensi e le comuni espressioni verbali si animano di vita autonoma, prendono corpo, si impongono con una inedita visualizzazione e ti vengono riproposti come mutazioni genetiche, sorprese inattese, giochi di prestigio della creatività. Le opere sono esercizi di stile, esempi d’intelligenza, sorrisi distribuiti a piene mani. Un riflettere in superficie sulla profondità delle cose.
Se tutto questo poi fosse anche animato, nel senso da assumere improvviso movimento in una nuova cinetica dimensione, Carla Viparelli assurgerebbe all’olimpo dei veri visionari. E così è stato. Nelle sale del Blu di Prussia (via Filangieri 42, fino al 21 dicembre) l’artista napoletana è ospite di Giuseppe Mannajuolo e Mario Pellegrino per inaugurare oggi alle 17,30 la sua mostra «Animazioni»: un corpus di sette grandi lavori digitali proiettati in alta definizione, risultato della sua più recente ricerca che però prende sempre il via dalla forza del disegno. Un viaggio in una dimensione diversa, quella dell’animazione, che ancora di più esalta il dialogo con lo spettatore. «Dai giochi di parole scaturiscono, come partorite in un nuovo ritmo vitale, altre creature – scrive la curatrice Mimma Sardella – immagini speculari della vitalità dell’intelletto che le rende possibili, quindi vere creature nutrite dalla mente».