Alex Pinna: tra mitologia e fumetto
di Cynthia Penna
A passeggio nei giardini pubblici di Beverly Hills è impossibile per qualsiasi cultore di arte non rimanere a bocca aperta nello scoprire la piccola ma consistente collezione di sculture all’aperto lì collocate.
In una mia passeggiata nei giardini, un giorno attrasse la mia attenzione la scultura di un “ leprotto che suona il tamburo “ caratterizzata da una leggerezza e una plasticità che mi lasciò senza fiato.
Era “ the Drummer “ di Barry Flanagan: un’opera incredibile dove si coniugano dinamismo, plasticità, evanescenza e leggerezza, a tal punto che la scultura sembra librarsi nel vuoto in totale assenza di gravità. Quella lepre non sta solo saltando; la sua è una danza appassionata, quasi frenetica, ritmata da un suono di tamburo che scandisce il tempo, e la connota di una tale levità da farla apparire quasi come una farfalla che spicca il volo!
Quando vidi anni fa per la prima volta le opere di Alex Pinna ebbi la medesima sensazione di leggerezza, di assenza di peso, sebbene le sue figure siano volutamente più statiche perché immerse in un’atmosfera meditativa. Riflessione e meditazione sono la cifra di Pinna, ma la plasticità e la leggerezza delle sue sculture sono le medesime di Barry Flanagan. Incredibilmente l’assonanza continua e non solo nella cifra stilistica, bensì anche e soprattutto nella scelta di un soggetto caratterizzante il segno specifico dei due artisti e nella tipologia del soggetto scelto: un leprotto per Flanagan, un omino dai lunghissimi arti per Pinna.
A ben guardare e “ sentire “ le opere non si tratta di leggerezza e basta, si tratta di “ levità “, di
“ delicatezza “, di silenziosa potenza che si irradia da figure magiche e favolistiche.
Sarà che i due artisti hanno optato per l’esilità della figura e l’elemento caratterizzante la loro arte è proprio questa sorta di scarnificazione della figura di giacomettiana memoria.
Ma non è solo questo: tutte le sculture di Flanagan sembrano …… volare; l’animale terraneo per antonomasia, la lepre, diventa nelle mani di Flanagan una sorta di libellula. In tutte le sue opere il leprotto non è mai raso terra e non corre mai con le zampe per terra: salta, si arrampica, fa l’equilibrista sul filo, danza, suona, sempre in posizione eretta, ovviamente ad umanizzarlo anche nella postura!
E medesimamente gli omini di Pinna non stanno mai coi …. piedi per terra sia in senso fisico che metaforico. Si arrampicano su incerte scale di corda, giocano a far gli equilibristi sulla corda sospesi nel vuoto, e quando stanno fermi, sempre, sempre, guardano lontano, lontano. Orizzonti irraggiungibili, mete più ideali che reali, aneliti di infinito.
Una plasticità data dall’essenzialità di poche forme lineari e minimali. E siamo di nuovo alle figure scarnificate di Giacometti. Scarnificare significa “ togliere “, eliminare il superfluo per arrivare all’essenza, ridurre a pochi tratti minimi con i quali rendere il tutto. E’ indubbiamente la lezione di Giacometti che agli inizi del ‘900, coevo di un Maillol, ruppe con tutti gli stilemi che avevano fino ad allora caratterizzato l’arte della scultura, per mostrare la nudità dell’essenza e la nudità dell’anima come anche la solitudine del percorso dell’essere umano. L’uomo è solo nel suo percorso di vita come l’artista è solo nel suo processo creativo.
Pinna assume tutta l’essenzialità della scarnificazione della figura espungendole però il senso di tragicità di Giacometti e la sostituisce piuttosto con un senso di “ complessità “ interiore di accento manifestamente psicoanalitico.
Quei suoi corpi asessuati, quegli arti giganteschi su corpi affusolati, quelle teste rase che non declinano un sesso, sono l’emblema di una condizione umana piuttosto che di un essere o di un personaggio.
Pinna affronta il tema della condizione umana nella sua globalità di azione, riflessione, meditazione quindi pensiero, solitudine, interrelazione e separazione dall’altro essere umano.
Il tracciato di una “ condizione “, quella esistenziale, piuttosto che la presentazione scultorea di un corpo. La finalità di Pinna non è il corpo, ma la condizione esistenziale dell’uomo.
Gli arti così tanto allungati appaiono come radici che ritornano alla terra per generare ancora …. all’infinito. Figure esili che sembrano affrontare sforzi disumani, che mantengono muri giganteschi per non farli cadere o che sollevano il globo terrestre o vi si “ accomodano “ seduti sopra in precario equilibrio: sembra di essere davanti ad un Eroe della mitologia greca, un nuovo Ercole dalle innumerevoli fatiche. A ben vedere in realtà i fumetti sono la nostra nuova mitologia: Pinna ricrea la metafora mitologica con una parola attuale: i suoi omini non sono altro che gli eroi di un tempo e paradossalmente parlano la medesima lingua, soffrono le medesime pene e godono delle medesime gioie. Nulla è cambiato: Ercole viveva la condizione dannata dell’incertezza tra l’essere uomo o dio e così il culto a lui riservato oscillava nell’incertezza di questa condizione.
Gli omini di Pinna si confrontano con realtà che sembrano sovrastarli e soggiogarli, ma paradossalmente appaiono poi come i veri vincitori della guerra esistenziale col mondo.
L’artista coglie, descrive e tramuta la condizione esistenziale in gioco, anzi adopera la metafora del gioco per dichiarare anche la tragicità di una condizione. Un “ disegnatore “ di fumetti che oscilla tra ironia e dramma. “ L’ironia è un aspetto fondamentale del mio lavoro. Io possiedo due facce: una ironica, l’altra molto drammatica. Cerco di far emergere la loro duplice presenza nel mio lavoro che spero mantenga questa particolarità …… L’ironia posso paragonarla al mio terzo polmone che mi permette di respirare e spesso di sopravvivere …… “.(intervista Marzo 2000)
E così anche nei suoi lavori pittorici compaiono Pinocchio, Felix, l’omino Bialetti …….. tutti, sempre sembrano porsi un’unica domanda: “ perché sono qui? “ o piuttosto “ e adesso come me la gioco la partita? “; e già, perché di una partita si tratta tra lui e il mondo, tra lui e la sua esistenza che non sconta niente e non concede nulla!!! e che dire delle conversazioni mute tra la gente? Metafora della sordità e del mutismo che attanaglia la società contemporanea. Discorsi muti e discorsi tra “ sordi “.
E da qui, da queste tematiche, nascono anche “ i Teatrini “, le ultime opere di Pinna, costituite da una
“ moleskine® “ aperta a libro che contiene i personaggi; come nei libri per bambini che sembrano “ animarsi “ all’apertura della pagina, così i “ teatrini “ di Pinna sembrano aprirsi al mondo, alla scena, agli spettatori .
Incredibilmente è usato qui un oggetto adoperato per decenni come “ registratore “ di esperienze di viaggio: la “ moleskine® “ appunto,l’amata e unica compagna di viaggio di Bruce Chatwin! Un diario dove registrare esperienze, sensazioni, eventi, incontri, relazioni, notizie: una sorta di “ giornale “ personale e universale al tempo stesso; un diario in cui l’umanità si riconosce per intero e che, una volta aperto, racconta “ storie “ : TEATRI appunto! Cos’è il teatro, dalla tragedia, alla commedia greca, ai monologhi di Carmelo Bene e di Dario Fo, se non un continuo, racconto di “ storie “ ,un racconto di vite, una esplorazione di sé?
La “ moleskine® “ perciò diventa al contempo “ teatro “ e libro; nella forma di un libro si schiude un teatro, un pezzo di vita,un istante o un’eternità del vivere. Una sorta di scenografia teatrale del vivere collettivo e individuale.
E così l’arte di Pinna si dipana e si completa in un unico, grande racconto,una lunga affabulazione, una sottile narrazione fatta da figure silenti. La parola “ muta “ vale molto più di tanto, inutile parlare. I suoi silenzi comunicano molto di più di tanto “ chiacchiericcio “ urlato; il fumetto, il mito, la conversazione, il teatro, il disegno: tutto è racconto e tutto serve per raccontare, per parlare di noi, di TUTTI noi, per porci domande, per porci interrogativi che rimarranno invariabilmente senza risposta, ma che ci serviranno sempre, sostanzialmente, per continuare a vivere.