Nicola Evangelisti

 

 

di Emiliano D’Angelo

 

 

Vi sono forme di espressione artistica tra le più aggiornate che possono vantare un’autoevidenza comunicativa, un impatto emozionale così immediato e vivace, da superare anche lo scetticismo dei meno avvezzi ad accogliere le sollecitazioni del contemporaneo. Tra queste rientra, a mio avviso, l’esperienza multiforme, ma estremamente coerente, di Nicola Evangelisti.
Essa ruota intorno ai due fattori-cardine della luce e dello spazio, osservati in una interrelazione così inestricabile, profonda, da condurre quasi alla formulazione di un teorema, rudimentale e inattaccabile: non si dà luce senza spazio, non si dà spazio senza luce.
Questa combinazione binaria di elementi vale a differenziare il percorso dell’artista bolognese da molte analoghe sperimentazioni che si sono succedute negli ultimi decenni, non ultime le avventure a carattere interattivo e “site-specific” di un Tatsuo Miajima.
L’ispirazione di Evangelisti è tutt’altro che naif o improntata alla pura spettacolarità postmoderna, né mira a sollecitare la partecipazione diretta dello spettatore, se non nel senso di invitarlo ad una auscultazione ambientale più profonda e rilassata, il cui scopo finale sembra essere quello di realizzare una sorta di epistemologia utopica: riportare il sapere scientifico alle sue origini poetiche e filosofiche, ai fasti pionieristici delle grandi esplorazioni presocratiche sulla physis e sulle origini dell’universo.
Essa attinge ad un crogiuolo composito di elementi e di stimoli culturali, il primo dei quali è senza dubbio lo studio della psicologia della percezione (con particolare riferimento alla teoria della Gestalt, il cui influsso si concretizza tra l’altro in un vivo, ostentato interesse per le formazioni visive a struttura reticolare, come quelle rappresentate dai lampi o da altre tipologie di conduzioni elettriche).
Una precisa consapevolezza storica e territoriale sottrae poi l’artista bolognese alla tentazione di disperdere il proprio background culturale di partenza nella melassa di un malinteso gergo artistico internazionale, sempre più presente nei nostri musei, riportandosi con convinzione a un’esperienza schiettamente italiana come lo spazialismo di Fontana (che gli ispira, tra l’altro, una “Proposta per un nuovo manifesto spaziale”, interessante complemento teorico alla sua attività di sperimentatore incallito). Mentre la fascinazione per la natura, colta nei suoi aspetti transitori e fenomenici, microsensibili, immateriali, così come per gli specchi e per i frattali geometrici, per le variazioni cromoluminose modulate su ogni tipo di superificie, denotano influenze ricavate anche dal pauperismo e dalla concept-art italiana degli anni ’60 (non a caso sarà invitato, nel 2008, ad esporre a Bruxelles insieme a due mostri sacri come Paolini e Pistoletto).
Per le caratteristiche enunciate, e a differenza che per gli altri artisti presentati in questo catalogo, l’interesse di Evangelisti per la fotografia non riveste forse un interesse “primario” nell’economia complessiva della sua produzione. Ma i suoi scatti restano comunque un tassello complementare prezioso, un documento raro e affascinante di un percorso di ricerca tutto improntato a catturare la “fisicità” della luce, a calpestare la linea di confine (avveniristica e insondata) in cui la realtà e l’illusione fenomenica che circondano il più volatile, il più archetipico e sfuggente tra gli elementi osservabili in natura, si lambiscono fino a confondersi del tutto.