Impermanence nell’arte del Light & Space di Roberta Serpolli
Introduzione
Se allarghiamo la visione all’orizzonte che, immenso e immobile, si estende al di là di noi, o se, al contrario, concentriamo il nostro sguardo sull’immagine che, minuscola e instabile, ci passa accanto, percepiremo cose molto diverse.
L’immagine è lucciola delle intermittenze passeggere, l’orizzonte inonda di luce gli stati definitivi, i tempi immutabili deltotalitarismo o itempi finiti del Giudizio.
Vedere l’orizzonte, l’al di là, significa non vedere le immagini che giungono a sfiorarci.
La lucciola come emblema dell’immagine definisce la qualità dell’effimero, la componente che induce a farci vedere ciò che ci sfiora. In questa accezione di fenomeno transitorio e al contempo rivelatore, dove convogliano permanenza e contingenza, opera il radicalismo dellericerche artistiche del Light & Space tra gli anni ’60 e ’70.
Durante gli anni ’60 si assiste a un progressivo mutamento di prospettiva. All’autonomia e all’isolamento della scultura Minimal si sostituisce il concetto di installazioni indefinite, evidente, tra gli altri, nei lavori di Richard Nonas e di Jane Highstein nei quali «l’effimero disegna le installazioni, cosicché il valore del lavoro si distribuisca nella catena degli effetti sul pavimento e sul muro, sulla strada e sul selciato.» In questa transizione, che include anche l’arte concettuale, è la natura stessa dell’opera, secondo le sue varie declinazioni, a essere consegnata al territorio del transitorio e del temporaneo.Storicamente ricondotte all’ambito della smaterializzazione, secondo la definizione datane da Lucy Lippard, queste elaborazioni implicano un processo di allontanamento dall’oggetto e di derivazione dall’idea e dal concetto. L’aspetto fenomenico dei lavori di alcuni concettuali, si pensi all’utilizzo di gas e di altri elementi immateriali in Robert Barry, opera in direzione di una dematerializzazione dell’immagine. Esplorando la qualità intangibile dell’arte, persino il vuoto assurge a componente primaria delle investigazioni artistiche. Proprio Barry, infatti, afferma: «Nothing seems to me the most potent thing in the world.»
Le ricerche fenomeniche sviluppatesi in California dalla metà degli anni ’60,nella loro specificità, riconducono la componente della temporaneità all’esperienza psicofisica e percettiva dello spettatore, soggetta alle mutevoli condizioni atmosferiche. L’esperienza del transitorio è legata al momento specifico dell’atto percettivo, mai uguale a se stesso e potenzialmente sottoposto a infinite declinazioni di senso. In questo ambito conoscitivo, gli elementi naturali, la luce e il colore determinano la transitorietà dell’esperienza. Tali elementi inducono gli artisti a sperimentare le declinazioni empiriche dell’effimero nella relazione con i fenomeni scientifici, come indica il termine “effemeride”: le tavole sulle quali un tempo si registravano le osservazioni scientifiche dei fenomeni naturali.
Le condizioni per il passaggio dall’arte oggettuale a quella fenomenica sono poste nelle evoluzioni artistiche della metà degli anni ’60. Nel Minimalismo, la relazione tra opera, spettatore e spazio circostante determina il sovvertimento dei precedenti canoni ottico-visivi nell’approccio all’arte, in favore della componente intuitiva e percettiva. Ciononostante, Donald Judd ribadisce, con gli Specific Objects, la materialità dell’oggetto modulare, pur privandolo della convenzionale nozione di scultura.
Negli stessi anni, le ricerche condotte nella costa ovest degli Stati Uniti s’indirizzano verso le componenti immateriali della percezione visiva. Tra il 1963 e il 1965, Robert Irwin procede a una serie di esperimenti pittorici, elaborati nella serie dei Dot Paintings, che lo conducono a investigare il processo visivo attraverso l’impiego di patterns di puro pigmento che, percepiti a distanza, restituiscono una tela completamente bianca. L’abbandono della pittura su tela, dal 1968, imprime una svolta significativa al lavoro dell’artista californiano che si dedica, nei due anni seguenti, alla produzione di strutture circolari e ricurve in alluminio e acrilico, i Disc, in cui il dubbio percettivo è innescato dai fenomeni della rifrazione e della dissolvenza.
Parallelamente, si delinea nel sud della California una ricerca artistica che ha varie diramazioni e convoglia sia pittori sia scultori, dai lavori della tendenza denominata Finish Fetish e L.A. Glass and Plastic (tra cui, Peter Alexander, De Wain Valentine, Helen Pashgian e, per taluni aspetti, Larry Bell, Craig Kauffman, Laddie John Dill, Ed Moses e Chuck Arnoldi) fino all’arte del Light & Space (da alcuni critici degli anni ’70 ricondotto persino alle caratteristiche di un movimento) che convenzionalmente designa l’arte di Irwin, appunto, come pure di James Turrell, Eric Orr, Douglas Wheeler, Michael Asher, Maria Nordman, la quale tuttavia non vi si è mai riconosciuta , Susan Kaiser Vogel e Hap Tivey.
Verso la fine degli anni ’60 si assiste, in effetti, al passaggio da opere sperimentali di carattere pseudo-percettivo dove sono impiegati i nuovi materiali messi a disposizione dall’industria, tra cui polimeri, a interventi percettivi ambientali (immersivi, spesso illusionistici e transitori) in cui luce e spazio si sostituiscono alla presenza dell’oggetto. Sebbene la definizione diLight and Space contribuisca a definire storicamente la situazione artistica californiana, le successive accezioni di Perceptual Art e Phenomenal Art risultano particolarmente efficaci nell’indicare il complesso dei fenomeni investigati e la diversità degli approcci artistici. A voler considerare l’etimologia della parola “fenomeno” (dal greco antico: ϕαινόμενον, ovvero ciò che appare), la connessione tra fenomenologia e ambito dell’effimero si arricchisce di ulteriori significati particolarmente confacenti alle sperimentazioni degli artisti californiani. Inoltre, le due componenti di luce e spazio, benché in talune ricerche artistiche risultino prevalenti, si accompagnano a una ricerca puntuale e continuativa sui materiali e le nuove tecnologie.
Il lavoro di Larry Bell è, da questo punto di vista, piuttosto emblematico della relazione istituita da molti di questi artisti con l’industria aerospaziale. Nei cubi di cristallo che produce dalla seconda metà degli anni ’60, l’artistaprogressivamente impiega e perfeziona una tecnica di vaporizzazione del vetro con sostanze metalliche che gli consentono di ottenere effetti ottici e percettivi piuttosto complessi.
Questo utilizzo di nuovi materiali, caratteristico dell’ambiente culturale di Los Angeles, lo inducono a partecipare al programma del Los Angeles County Museum of ArtArt and Technology(1967-71). Vi prendono parte, tra 64 artisti, anche James Turrell e Irwin che conducono una serie di esperimenti sulla deprivazione sensoriale e sui ganzfeld (campi visivi totali), in collaborazione con Edward C. Wortz, psicologo della compagnia aerospaziale Garrett Corporation, impegnato per conto della NASA in ricerche sulle condizioni psicofisiche degli astronauti.Benché il contributo di Bell al programma non produce alcun oggetto artistico, eglilavora per breve tempo con gli ingegneri della Rand Corporation con l’intenzione di far convergere i suoi interessi per la psicologia percettiva con i prodotti tecnologici dell’industria. Al contrario di Irwin, di cui è stato allievo, Bell non ha mai prodotto ambienti architettonicamente strutturati, ma interviene nella dimensione ambientale, alla metà degli anni ’70, con lavori di grandi dimensioni in cui l’utilizzo di pellicole metalliche iridescenti creano trasparenze ed effetti visivi dematerializzanti.
Mentre artisti come Larry Bell lavorano sul processo di trasformazione dei materiali, mediante procedimenti tecnici altamente specializzati, James Turrell inizia a intervenire, sin dal principio della sua produzione, sulla struttura architettonica degli ambienti con una finalità luministico-strutturale.A differenza di Irwin, che giunge progressivamente a un processo di riduzione fenomenica a partire dalla pittura,Turrell lavora da subito sul concetto d’immaterialità. Questo principio viene analizzato con la serie Afrum (dal 1966), in cui la proiezione di cubi nello spazio espositivo crea un’illusione visivo-percettiva derivata dall’incertezza di esperire una forma geometrica introflessa oppure proiettata verso l’esterno. La sperimentazione dell’artista lo porta all’ideazione di spazi percettivi e architettonici creati da effetti luministici, i Mendota Stoppages (1969-74), oggi non più esistentima che un tempo si potevano esperire nel suo studio di Santa Monica. Come affermatodall’artista,la luce crea uno spazio architettonico e le sue potenzialità strutturali possono essere pienamente esperite nello spazio interno piuttosto che all’esterno. Dunque, la valenza immateriale della luce si uniscealla sua capacità di costruire spazi.Inoltre, nel lavoro di Turrell, l’effetto fenomenico-percettivo è ottenuto mediante processi altamente materiali: la costruzione e la de-costruzione di appositi ambienti per favorire la relazione con gli elementi naturali, come indicano interventi qualiSkyspace I e Virga (1974),appositamente realizzati per la villa settecentesca dei coniugi Giuseppe e Giovanna Panza di Biumo nei pressi di Varese.
Spiritualmente incline a ricerche artistiche improntate all’essenzialità, Giuseppe Panza si rivolge precocemente all’ambiente artistico californiano sul finire degli anni ’60, introdottovi da Robert Irwin, mentre è la scena artistica newyorkese a catalizzare il mondo dell’arte. A Los Angeles trova un terreno fertile per le sue innovative modalità collezionistiche. Una volta in Italia, infatti, si rende mecenate mettendo a disposizione di Irwin, Turrell e Maria Nordman, dal 1973 al ’77, alcuni ambienti della sua villa per interventi che diventano permanenti. Villa Panza è sin d’allora tra i luoghi unici d’Europa, e degli stessi Stati Uniti, dove il visitatore può esperire le proprie percezioni psicofisiche attraverso i lavori del Light & Space. Il collezionista riconosce, a più riprese, nell’arte di Los Angeles un’evoluzione sostanziale della creatività: il passaggio dalla rappresentazione visiva di spazio e luce al loro impiego come elementi fisici e immateriali in rapporto alle facoltà interiori dell’uomo. Nel 1976 interviene, curandone la sezione sull’arte ambientale americana, alla pionieristica mostra Europa America. L’astrazione determinata, 1960-1976 che apre i battenti qualche mese prima di Ambiente Arte, la nota esposizione ordinata da Celant presso la XXXVII Biennale di Venezia.
Panza avvia la sua raccolta di opere di Irwin a partire dai Disc. A seguito di questa importante serie ha inizio per l’artista la produzione di lavori site-conditioned in cui si inseriscono i lavorieseguitinella villa di Biumo. Questo passaggio alla dimensione ambientale con interventi nello spazio espositivo caratterizza il contributo di Irwin a quella che può ritenersi la prima mostra del Light & Space “Transparency, Reflection, Light, Space: Four Artists” del 1971 presso il museo dell’università UCLA di Los Angeles. L’esposizione è preceduta dalla personale presso il MoMA di New York del 1970 in cui l’artista presenta, in uno spazio piuttosto secondario del museo, Fractured Light – Partial Scrim Ceiling – Eye-Level Wire, tra i suoi primi Scrim Pieces. Con questi due interventi Irwin mette a frutto le sperimentazioni sul processo di riduzione e di introspezione sensoriale che avevano caratterizzato la sua partecipazione ad Art and Technology.
L’assenza di concreti riferimenti visivi in questi ambienti di Irwin mostra un’attenzione per le ricerche sull’immaterialità condotte dall’artista francese Yves Klein, che giungono a un riduzionismo radicale con Le Vide presso la galleria di Iris Clert di Parigi nel 1958. In quell’occasione Klein “rappresenta” l’immateriale attraverso il vuoto con un procedimento che potremmo definire tautologico in quanto, riferendosi alle sue tele monocromatiche, dipinge le pareti con una sensibilità pittorica.
Per quanto debitrici a questo tipo di ricerca artistica, le elaborazioni ambientali di Irwin, ma anche quelle di Michael Asher, altro protagonista dell’arte californiana, procedono in direzione di un pragmatismo fenomenico, perciò non rimandano ad altro se non a sé stesse:
Klein sought a powerful reverie, as in the rooms described by Bachelard […]. What was startling about Irwin’s and Asher’s rooms was not their reverie or projection of the infinite but their finite clarity. They were not cloaked in mysticism. They were naked. They made you notice and want to question everything about them as structures. […]. The light of these rooms was a natural fact, neither overtly dramatic nor spiritual.
La condizione fenomenica sperimentata da Irwin procede di pari passo con i suoi interessi per l’estetica fenomenologica di Maurice Merleau-Ponty e di Husserl, che emergono non soltanto nel corpus dei suoi scritti, ma anche nell’attività di docente che lo ha visto a lungo impegnato in conferenze sulla psicologia percettiva. Da queste speculazioni filosofiche deriva la definizione del concetto di “impermanent”, quale sinonimo di “ephemeral”, che concerne le sue indagini evidentemente improntate al pensiero post-strutturalista:
Seeing concepts as propositions, open posture for change. Flexible, allowing for the dynamics of change. Questions over answers – process over product – allowing our assumptions of meaning to exist equally in transient and momentary acts – inclusion of phenomena.
Le medesime dinamiche del cambiamento menzionate in questo passaggio determinano il rapporto dello spettatore con l’opera-ambiente in quanto fondato sul “dubbio percettivo” e sulle mutabili condizioni dell’esperienza. Tale indirizzo di ricerca è stato approfondito nella relazione tra arte e scienza, alla base del programma Art and Technology. A voler valutare le conseguenze di questa iniziativa sul lavoro di Irwin, ma anche su quello di Turrell, si comprende come la sperimentazione scientifico-percettiva, effettuata in quell’occasione, non sia stata il mezzo attraverso il quale giungere a una riconfigurazione del linguaggio artistico, quanto una delle sue possibili applicazioni in ambito fenomenico.In merito a questo aspetto, le considerazioni di Edward C. Wortz, lo psicologo della percezione che lavorò con entrambi, risultano illuminanti. Intervistato da Douglas Davis in merito alla relazione tra il lavoro dei due artisti e la percezione, lo scienziato della NASA asserisce:
More than the work, I see a relationship in their general philosophy with perception per se. In their general attitude and perception of life. That’s one of the conceptual problems in the project.
Questa attitudine generale alla percezione implica la creazione di un’opera potenzialmente infinita, non soltanto in ragione dei continui mutamenti delle condizioni atmosferiche e sensoriali che provoca in colui che la esperisce, ma anche per la continuità di tale esperienza al di fuori dello spazio espositivo. Tale caratteristica, come evidenzia Dawna Schuld, resta a tutt’oggi una delle componenti precipue dell’arte fenomenica:
We are left to consider the work in terms of the dynamics of perceptual engagement. […] we take the work with us: our heightened senses, now attuned to the subtleties of the conscious fringe, encounter a more vivid world than the one we left behind.
Accanto all’indagine sull’elemento fenomenico, alcuni artisti ricondotti all’ambito del Light & Space fanno esplicito ricorso alla spiritualità nella portata esperenziale dei loro progetti ambientali. Il progetto per Zero Mass (1972-73) di Eric Orr rappresenta, da questo punto di vista, un’ulteriore accezione dell’effimero che emerge sia dalla provvisorietà del materiale utilizzato, la carta, sia dal «proto-materialismo» dell’esperienza visiva trasferita allo spettatore. Queste componenti si relazionano all’interesse dell’artista per il Buddismo Zen che lo porta a concepire gli ambienti come luoghi di meditazione.
Giuseppe Panza, nel narrare la sua esperienza di Zero Mass nello spazio della Cirrus Gallery di Los Angeles nel 1974, ci riporta idealmentea tale dimensione spirituale e immateriale del lavoro di Orr:
La stanza appariva completamente buia. Le istruzioni erano di sedersi in terra su qualche cuscino che bisognava cercare a tentoni perché il buio era totale, e aspettare. Un’attesa che sembrava molto lunga. Finalmente le tenebre incominciavano a diradarsi, qualche ombra incominciava a distinguersi, ma soltanto ombre, niente di fisico, niente di identificabile. […]. Per caso guardai le mie mani e mi accorsi con grande sorpresa che erano diventate ombre anche loro. Era come se non fossero più mie. Ero circondato da un debole chiarore che veniva da tutte le direzioni […] io ero diventato un’ombra. Il mio corpo non esisteva più. Era una cosa che aveva perso materialità. […]. Ero entrato nel mondo irreale delle anime; di mio rimaneva solo la mia coscienza. L’unica entità immateriale che ci distingue da tutte le cose.
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Georges Didi-Huberman, Come le lucciole, Torino, Bollati Boringhieri, 2010 (ed. orig. Survivance des lucioles, Paris, Les Éditions de Minuit, 2009), p. 69. Il corsivo è in originale nel testo.
Germano Celant, Una collezione ideale, in Marco Magnifico, Lucia Borromeo Dina (a cura di), Villa Menafoglio Litta Panza e la collezione Panza di Biumo, Milano, Skira, 2001, p. 45.
Il primo testo in cui si definisce criticamente questo processo è l’articolo a firma di Lucy Lippard e John Chandler, The Dematerialization of Art, “Art International” (February 1968), p. 44. Il volume che raccoglie la documentazione relativa agli anni 1966-1972 è: Lucy Lippard, Six Years: The Dematerialization of the Art Object from 1966 to 1972, Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1973.
Questa componente del lavoro di Barry è stata analizzata da Alexander Alberro, Arte Concettuale e strategie pubblicitarie, Milano, Johan & Levi, 2011 (ed. orig. Conceptual Art and the Politics of Publicity, Cambridge (Mass.), The MIT Press, 2003), pp. 95-110.
Robert Barry in Ann Goldstein, Anne Rorimer (eds.), Reconsidering the object of art: 1965-1975, cat. mostra (Los Angeles, The Museum of Contemporary Art, 15 ottobre 1995 – 4 febbraio 1996) Cambridge, Mass., The MIT Press, 1995, p. 70.
Si pensi, in particolare, al superamento dell’approccio formalista del critico Clement Greenberg.
Si veda in merito Robin Clark (a cura di), Phenomenal, California Light, Space, Surface, cat. mostra (La Jolla e San Diego, Museum of Contemporary Art, 25 settembre 2011 – 22 gennaio 2012), Berkeley e San Diego, University of California Press; Museum of Contemporary Art, 2011, p. 89.
La questione terminologica è stata approfondita dai recenti studi che hanno evidenziato i limiti della definizione ma anche la sua connotazione storica: Donna Conwell, Glenn Phillips, Duration Piece: Rethinking Sculpture in Los Angeles, in Rebecca Peabody, Andrew Perchuk, Glenn Phillips, Rani Singh (a cura di), Pacific Standard Time. Los Angeles Art 1945-1980, cat. mostra (varie sedi 1 ottobre 2011 – 5 febbraio 2012), Los Angeles, The Getty Research Institute and the J. Paul Getty Museum, 2011, pp. 186-230.
Come evidenzia precocemente Douglas Davis, Art and Technology – The New Combine, “Art in America”, 56, n. 1 (gennaio – febbraio 1968), pp. 25-34.
Maurice Tuchman (a cura di), A report on the Art and Technology Program of the Los Angeles County Museum of Art 1967-1971, Los Angeles, Los Angeles County Museum of Art, 1971.
In merito all’analisi dei primi lavori contestualizzati all’intera produzione dell’artista, si rimanda alla recente retrospettiva: Michael Govan, Christine Y. Kim (a cura di), James Turrell: A Retrospective, cat. mostra (Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles, 26 maggio 2013 – 6 aprile 2014; The Israel Museum, Jerusalem, 1 giugno – 18 ottobre 2014; National Gallery of Australia, Canberra, 12 dicembre 2014 – 6 aprile 2015; con mostre contestuali presso the Museum of Fine Arts, Houston, 9 giugno – 22 settembre 2013, e the Solomon R. Guggenheim Museum, New York, 21 giugno – 25 settembre 2013), Los Angeles, Munich and New York, Lacma DelMonico Books, 2013.
Turrell si è soffermato su questo aspetto nella recente intervista: Guggenheim Conversations with Contemporary Artists: James Turrell with Michael Govan, video, Youtube, Guggenheim Museum, July 12, 2013: http://www.youtube.com/watch?v=ox00pFnKS7g.
Europa America: l’astrazione determinata 1960/1976, a cura di Flavio Caroli, cat. mostra (Bologna, Galleria d’Arte Moderna, maggio – settembre 1976), Comune di Bologna 1976.
Gli artisti che esposero in quella occasione sono stati: Peter Alexander, Larry Bell e Craig Kauffman.
Il titolo per esteso della mostra di Klein era La spécialisation de la sensibilité à l’état matière première en sensibilité picturale stabilisée, Le Vide. Per una disamina sull’immateriale in Klein si rimanda a: Denys Riout, Yves Klein: Expressing the Immaterial, Paris, Éditions Dilecta, 2010.
Michael Auping, Stealth Architecture: The Rooms of Light and Space, in Robin Clark (a cura di), Phenomenal… cit., p. 88.
Gran parte dei testi per conferenze e seminari sono pubblicati in: Robert Irwin, Notes Toward a Conditional Art, a cura di Matthew Simms, Los Angeles, J. Paul Getty Museum, 2011. In questi testi, i riferimenti filosofici ricorrenti sono Merleau-Ponty e Husserl, come è stato analizzato da Matthew Sims, Introduction: Irwin’s Writing, ivi, pp. 1-19.
Robert Irwin, Lecture Notes, ivi, pp. 61-66, qui p. 64.
James Turrell/Robert Irwin/Edward Wortz: The Invisible Project, in Douglas Davis, Art and the Future: A History/Prophecy of the Collaboration Between Science, Technology, and Art, New York, Praeger, 1973, s.p.
Practically Nothing: Light, Space, and the Pragmatics of Phenomenology, in Robin Clark (ed.), Phenomenal… cit., p. 121.
La definizione si deve a Thomas Mc Evilley che ha analizzato il concetto di «proto-materialismo» nel lavoro di Orr, si veda: Journeys In and Out of the Body: Proto-Materialism of Eric Orr, “Images and Issues”, 2 (Primavera 1981), pp. 14-19.
Cfr. Thomas Mc Evilley, Negative Presences in Secret Spaces: the Art of Eric Orr, “Artforum”, 20, n. 10 (Summer 1982), pp. 58-65. L’ambiente è stato realizzato in varie occasioni espositive, tra le quali presso la galleria di Salvatore Ala a Milano nel 1975.
Ricordi di un collezionista, Milano, Jaca Book, 2006, pp. 161-162.