META-ILLUSIONI: il giardino dell’impossibile

 

 

di Cynthia Penna

 

 

“la storia è quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione”  (Julian Barnes : Il senso di una fine)
oppure, per dirla con Magritte:   “Ceci n’est pas une pipe”
Introdurre o accedere alla Fotografia cd. “concettuale” non appare facile perché il mezzo fotografico è stato considerato fin dalle sue origini il mezzo per eccellenza atto a riprodurre la realtà.
Ricordiamo che è stata proprio l’introduzione della fotografia a mettere in crisi il mezzo pittorico e tutta la ritrattistica del 19° secolo in quanto era in grado di riprodurre la realtà “vera” e non quella comunque elaborata dalla mano e dalla mente dell’artista. Se ci addentriamo nella semantica della nostra lingua ci accorgiamo che il termine “obiettivo” contiene molteplici significati: “obiettivo” è un oggetto che serve in fotografia cioè un oggetto che si “focalizza” su qualcosa e serve a definirla, a connotarla e a riprodurla;   “obiettivo” significa noto , accettato dalla comunità come un qualcosa di dato per reale; “obiettivo” infine è anche lo scopo finale e la metà di una attività , o di un pensiero. Quindi la medesima parola viene usata per definire situazioni o oggetti reali, uno spaccato di realtà, e nel contempo per identificare l’oggetto che in fotografia blocca in una frazione di secondo un frammento di vita, un frammento di realtà e, come suol dirsi, lo immortala, lo conduce cioè in una dimensione a-temporale.
I grandi fotografi del ‘900 da Robert Doisneau, a Cartier-Bresson, al fotogiornalismo di guerra e di reportage di  Steve Mc Curry, passando poi per la fotografia  di esplorazione del corpo umano di Helmut Newton e Robert Mapplethorpe, raffiguravano la realtà trasponendola su carta fotografica, immortalando un momento della realtà, del sentimento umano  o del corpo umano fattosi oggetto, cioè oggettivizzato in una azione.
La svolta del terzo Millennio ha coinciso con una svolta epocale nell’ambito della fotografia d’arte: il superamento della realtà e l’introduzione del surreale, dell’immaginario, dell’illusorio, del fantastico, e dell’invenzione in quello che da sempre era considerato l’unico mezzo atto a riprodurre meramente la realtà.
Dopo circa due secoli di fotografia del “reale”, assistiamo oggi alla creazione di una fotografia dell’irreale o meta-fotografia.
Il surreale, il verso deformato della realtà, l’invenzione di uno scenario inesistente o esistente sotto forme differenti, entrano in gioco per soggettivizzare un messaggio, anzi per comunicare la propria personale immagine del reale che non è più costretta dalla realtà circostante, ma spazia nella propria immaginazione.
L’artista fotografo elabora la realtà,la stravolge, la distorce, entra nel mondo del falso in contrapposizione al vero per aderire al sogno,e toccare le corde dell’emozione.
Un neosurrealismo, una meta-fotografia in cui il “concetto”, l’idea, diventano l’unico supporto e il fine stesso dello scatto fotografico; l’elemento dominante della scena riprodotta. Non è più la realtà a determinare lo scatto, bensì è l’idea che deve prendere forma e che conduce lo scatto fotografico così come l’idea prende forma e conduce il pennello del pittore. Non interessa più l’oggetto fotografato, ma il cosa c’è dietro quella apparente rappresentazione di realtà che di reale in fin dei conti non ha più nulla.
Si opera attraverso “visual Hybrids” cioè attraverso degli “ibridi visivi” che comportano trasformazione (C. Greig), distorsione e duplicazione della realtà (P. Soussan, M.Machu), per aderire ad una percezione nuova di una realtà diversa ; una fotografia “percettiva”, una fotografia che offre una nuova e inesplorata visione delle cose del mondo (P.Soberon).
Una riflessione sullo spazio e le sue modificazioni,(N.Evangelisti), ma anche sulla modificazione dei tempi, o degli oggetti o della  percezione degli stessi.
Lo spettatore è indotto in errore o in dubbio su cosa stia realmente guardando: la realtà o l’irrealtà? trattasi di un panorama, di un orizzonte?ma sarà un orizzonte reale o ideale?  l’occhio rimane frastornato e la mente comincia a viaggiare nell’irreale: l’occhio  pone il dubbio sulla visione e la mente reagisce rifugiandosi nello spazio emotivo.
Tutto si permea di sottili ambiguità e trasmutazioni; la visione gioca sulla dicotomia tra identità e ricordo: ricerca di identificazione di una realtà oggettuale, conosciuta e perdita continua di questa identificazione; la perdita di riferimenti oggettivi induce uno stravolgimento della codificazione della percezione nel senso di una incertezza sulla reale identità di ciò che si sta guardando. Ma d’altronde non è pur vero che, come osserva J.Barnes: “quel che si finisce per ricordare non sempre corrisponde a ciò di cui siamo stati testimoni” e che viviamo di “ricordi approssimati che il tempo ha deformato in certezze“ ?
La domanda sorge impellente: e se guardassi alle cose da un’altra prospettiva? se, superate icone e simboli, mi addentrassi in un universo nuovo?se guardassi ad una realtà frammentata, frazionata, distorta,e manipolata ? una realtà “diversa” da quella a cui sono abituato e che in certo senso “mi aspetto” di vedere? potrei scoprire altre e nuove verità? nuove sensazioni e nuove percezioni di me stesso?
Un’ipotesi, un tentativo di coinvolgimento a cui questi artisti mirano; un’avventura estetica e concettuale che parte dalla visione e finisce per toccare corde di pura emozione, di estrema fascinazione.
“se da un lato non posso garantire sulla verità dei fatti, dall’altra posso attenermi alla verità delle impressioni che i fatti hanno prodotto” (J. Barnes)

Bibliografia: Julian Barnes: Il senso di una fine (Einaudi Ed.)