Scotch Tape Affair di Tiziana Tricarico (pubblicato su Testo in mostra: ‘Scotch Tape Affair’)
La nostra oramai è una vita di plastica. Joe Davidson riproduce città, paesaggi, oggetti all’apparenza surreali soltanto per via del materiale usato. Intrigante, duttile, più o meno indistruttibile: la plastica. S’intitola ‘Scotch™ tape affair’ la personale dell’artista di Los Angeles, curata da Cynthia Penna, che s’inaugura venerdì alle 18.30 a Villa di Donato, in piazza Sant’Eframo Vecchio: in mostra fino a fine mese istallazioni, sculture e quadri di recente produzione che suggeriscono un interrogativo inquietante. Con che cosa il nostro futuro dovrà fare i conti?
La plastica, con il suo alone di eternità, affascina l’artista californiano che peraltro non disdegna l’utilizzo anche di gesso, cemento e gommapiuma. Davidson lavora per accumulo, attraverso la ripetitività del gesto: come in una catena di montaggio. Le sue istallazioni sono tutte scomponibili in opere più piccole. Ad accogliere i visitatori un prato di girasoli, volutamente lasciati immacolati: ‘Volevo trasmettere l’idea di un colore tirato via – spiega -, come se la vita avesse abbandonato i fiori e di questi restasse solo un ricordo’. L’artista spesso lascia intatto il colore proprio del materiale utilizzato: il bianco per il gesso dei fiori piuttosto che il grigio per il cemento di infinite palle da baseball. E si concentra sulla forma. In una società in cui l’aspetto prevale su contenuto, Davidson si diverte ad ingannare lo sguardo dello spettatore con bottiglie di scotch. Con un procedimento lungo e complesso ricopre con nastro adesivo bottiglie le più varie che si trasformano in oggetti anonimi: l’unico modo per recuperare l’identità di cui sono state private è appunto fare riferimento alla loro forma. ‘Lavorare per me è un gioco – racconta l’artista -: a volte guardo un materiale e comincio a pensare a cosa poterci fare, a come manipolarlo, a come trasformarlo in qualcosa di diverso’. E poiché nell’ottica del riciclo non si butta nulla ecco che i rotolini di plastica del nastro adesivo si trasformano in una curiosa elica ritorta.
Se le istallazioni sono un elogio della forma, della vuota perfezione e della ripetizione infinita, i ‘Landscape’ (Paesaggi) realizzati da Davidson con schotch tape su pergamena stabiliscono direttamente un contatto con l’anima dell’artista. Il soggetto sono le catene di montagne – Saint Gabriel Mountains – alle spalle do Los Angeles che separano la costa dal deserto. Sono cime innevate che assomigliano a studi realizzati a matita o a carboncino. Ed invece si tratta di infiniti pezzettini di nastro adesivo pazientemente sovrapposti che creano il paesaggio, i chiaro/scuri e perfino la neve sulle rocce. Vanno osservati da lontano per ammirarne l’effetto, assolutamente spiazzante tenuto conto del materiale utilizzato. Davidson dona un valore artistico, poetico quasi, allo scotch che scompare nell’atmosfera rarefatta e nel silenzio sensibile di un paesaggio innevato. Ai piedi delle montagne si stende una città, ora illuminata dalla luce gialla dell’alba, ora avvolta dal rosso di un tramonto. E’ Los Angeles, ma potrebbe essere una qualsiasi altra città fatta di edifici tutti ugualmente anonimi, simili, omogenei: sono le forme di piccole bottigliette di crema, dopobarba, bagnoschiuma, profumo e quant’altro. Forme senza identità assemblate su mattoni 30×30. Ripetuti all’infinito.
La nostra oramai è una vita di plastica. Joe Davidson riproduce città, paesaggi, oggetti all’apparenza surreali soltanto per via del materiale usato. Intrigante, duttile, più o meno indistruttibile: la plastica. S’intitola ‘Scotch™ tape affair’ la personale dell’artista di Los Angeles, curata da Cynthia Penna, che s’inaugura venerdì alle 18.30 a Villa di Donato, in piazza Sant’Eframo Vecchio: in mostra fino a fine mese istallazioni, sculture e quadri di recente produzione che suggeriscono un interrogativo inquietante. Con che cosa il nostro futuro dovrà fare i conti?
La plastica, con il suo alone di eternità, affascina l’artista californiano che peraltro non disdegna l’utilizzo anche di gesso, cemento e gommapiuma. Davidson lavora per accumulo, attraverso la ripetitività del gesto: come in una catena di montaggio. Le sue istallazioni sono tutte scomponibili in opere più piccole. Ad accogliere i visitatori un prato di girasoli, volutamente lasciati immacolati: ‘Volevo trasmettere l’idea di un colore tirato via – spiega -, come se la vita avesse abbandonato i fiori e di questi restasse solo un ricordo’. L’artista spesso lascia intatto il colore proprio del materiale utilizzato: il bianco per il gesso dei fiori piuttosto che il grigio per il cemento di infinite palle da baseball. E si concentra sulla forma. In una società in cui l’aspetto prevale su contenuto, Davidson si diverte ad ingannare lo sguardo dello spettatore con bottiglie di scotch. Con un procedimento lungo e complesso ricopre con nastro adesivo bottiglie le più varie che si trasformano in oggetti anonimi: l’unico modo per recuperare l’identità di cui sono state private è appunto fare riferimento alla loro forma. ‘Lavorare per me è un gioco – racconta l’artista -: a volte guardo un materiale e comincio a pensare a cosa poterci fare, a come manipolarlo, a come trasformarlo in qualcosa di diverso’. E poiché nell’ottica del riciclo non si butta nulla ecco che i rotolini di plastica del nastro adesivo si trasformano in una curiosa elica ritorta.
Se le istallazioni sono un elogio della forma, della vuota perfezione e della ripetizione infinita, i ‘Landscape’ (Paesaggi) realizzati da Davidson con schotch tape su pergamena stabiliscono direttamente un contatto con l’anima dell’artista. Il soggetto sono le catene di montagne – Saint Gabriel Mountains – alle spalle do Los Angeles che separano la costa dal deserto. Sono cime innevate che assomigliano a studi realizzati a matita o a carboncino. Ed invece si tratta di infiniti pezzettini di nastro adesivo pazientemente sovrapposti che creano il paesaggio, i chiaro/scuri e perfino la neve sulle rocce. Vanno osservati da lontano per ammirarne l’effetto, assolutamente spiazzante tenuto conto del materiale utilizzato. Davidson dona un valore artistico, poetico quasi, allo scotch che scompare nell’atmosfera rarefatta e nel silenzio sensibile di un paesaggio innevato. Ai piedi delle montagne si stende una città, ora illuminata dalla luce gialla dell’alba, ora avvolta dal rosso di un tramonto. E’ Los Angeles, ma potrebbe essere una qualsiasi altra città fatta di edifici tutti ugualmente anonimi, simili, omogenei: sono le forme di piccole bottigliette di crema, dopobarba, bagnoschiuma, profumo e quant’altro. Forme senza identità assemblate su mattoni 30×30. Ripetuti all’infinito.