Pilar Soberon

 

 

di Emiliano D’Angelo

 

 

Con le sue fotografie e installazioni tutte centrate sull’interesse per le scienze naturali, per l’interazione tra gli elementi, per la microbiologia vegetale e animale, Pilar Soberon si cala nel vivo di una sensibilità antica e, allo stesso tempo, nuovamente attuale, che ha a che fare con i modelli epistemologici più accreditati: tramontata ormai l’era del meccanicismo newtoniano, con la sua visione della natura come materia inerte e priva di intelligenza, di scopo, di energia volitiva, sembra tornare fatalmente alla ribalta il nucleo essenziale di quella che fu già l’idea presocratica e rinascimentale, dissimulata dietro l’aura di novità delle moderne concezioni olistiche ed eco-sincretiche. Un approccio alla scienza di sapore sensuale e dionisiaco, basato più sull’uso inclusivo e travolgente dell’analogia  che sulle partizioni classificatorie e sulle antinomie differenzianti. Come dimostra anche la curiosità dell’artista basca per le strutture omotetiche, di cui le geometrie frattali sono l’ archetipo più suggestivo e ricorrente.
In direzione uguale e contraria rispetto a quella intrapresa dai fotografi della generazione “post-human”, come Paul McCarthy e Aziz + Cucher , la Soberon si disinteressa dell’elemento umano non per decretarne una presunta apocalisse psichica e biologica, spingendo lo sguardo in un divenire cupo e risolutivo,  ma per rivendicare a ritroso  la sua comune ascendenza con i fiori, con gli insetti, con le foglie e con le molecole stesse dell’acqua, elemento vivificatore sempre massicciamente presente nei suoi scatti. Questa attrazione per la matrice liquida della vita e della materia organica, si rivela funzionale ad una poetica (assertiva e non certo negativa) dello sconfinamento, dell’oltrepassamento e dell’ibridazione che è comunque di segno chiaramente post-modern.
Nelle serie “Aracno-wolrds” e “Nocturnos”, assistiamo alle peripezie metamorfiche di solidi che diventano sostanze liquide o aeriformi, vegetali che si trasformano in ragni, semplici gocce d’acqua che emulano le preziosità geometriche di ametiste o di perle d’ ambra, di valve semitrasparenti incastonate sull’epidermide di enigmatici e ibridi molluschi. Nella serie “Cryopreserved forms”, la raffinata dialettica tra coppie oppositive come caldo/freddo, liquido/solido, opaco/ trasparente, sembra fondere  una sensibilità squisitamente contemporanea con echi di sistemi filosofici nobili e antichi come quelli di Talete, di Empedocle, di Bernardino Telesio.
Aggirando la tentazione di incamminarsi verso esiti troppo lirici, surreali o di gusto new-age, l’artista persegue una linea di rigore iconografico che non tradisce mai il punto di partenza schiettamente scientifico del suo interesse speculativo.
Il che vale a differenziare la sua indagine, anche dal punto di vista qualitativo, da quelle di numerosi altri fotografi che si sono cimentati con la rappresentazione dei micro-fenomeni naturali senza una precisa consapevolezza teoretica e culturale.
Solcare il confine tra approccio cognitivo ed attitudine espressiva, tra scienza ed emozione, tra sensualità e avanguardia (questo vecchio tabù del XX secolo): tale non è più l’ambizione eretica di un manipolo di artisti “troppo” eclettici, collocati ai margini dei grandi movimenti internazionali, ma una delle linee di sviluppo più feconde e interessanti che sembrano contraddistinguere il nuovo millennio.
Rivolgendosi alla scienza del futuro, Pilar Soberon la invita a dialogare con l’arte e con la psiche, a mutarsi essa stessa in una forma d’arte, riscattandosi dalla consapevolezza mortifera, alienante, di essersi degradata al ruolo di ancella delle tecnologie applicate.