La lezione del grande artista americano Mark Rothko è stata assorbita ed elaborata da Todd Williamson in maniera mirabile; la linea orizzontale con cui si declina tutta la sua ricerca stilistica è significativa di un movimento estetico che trae le sue origini dai “color fields” del grande maestro e che ha improntato di sé un’intera generazione di pittori non solo in ambito americano, ma internazionalmente.
I “ campi di colore” monocromi di Rothko sono stati rielaborati con l’aggiunta di una partitura di linee orizzontali in successione dall’alto verso il basso e di fendenti di luce che s’innestano all’improvviso penetrando più la mente che l’occhio di chi osserva.
In un mio recente scritto su Williamson, in occasione della sua personale “Orizzonti” svoltasi a Napoli nel Febbraio scorso, ho avuto modo di porre l’accento su questo orizzontalismo sovrapposto al campo di colore monocromo, paragonandolo ad una sorta di partitura musicale che dal caos indeterminato dei suoni e del mero rumore, conduce alla melodia.
L’esigenza interiore di ordine nel sistema di pensiero e nella ricerca pittorica ha condotto Williamson a procedere con una sorta di partitura sulla tela, un ordito, una trama attraverso cui leggere l’opera. L’artista sente il bisogno di far convergere ed ordinare la propria istintività in una tramatura che lo induca a focalizzare più che a disperdere la sua emotività e il suo interiore sentire.
Le linee sono una trama leggibile della interiorità dell’artista e della sua emotività.
La trama, la partitura, o, anche se si vuole, la griglia, non sono qualcosa che costringe, comprime, o impedisce la proiezione delle emozioni, bensì soltanto momenti di “organizzazione” e di focalizzazione delle stesse.
Il caos indiscriminato del puro colore lasciato libero e “confuso”, viene organizzato attraverso la ripetizione di linee orizzontali che sembrano comunque travalicare la tela stessa e invadere i muri attorno e poi, oltre, in una proiezione esistenziale estesa ad un infinito universale.
Le linee conferiscono nel contempo movimento e tridimensionalità all’intera costruzione pittorica. Sono un vero e proprio “sistema” di lettura dell’opera e di ciò che sta dietro ad essa.
Proiezioni o espansioni della mente più che di materia verso l’universalità del comune sentire. Orizzonti mentali più che fisici che travalicano il contingente per spaziare dall’interiorità individuale verso una emotività universale.
Williamson ha in mente orizzonti più vasti dell’Io.
Il fondo monocromo delle sue opere sembra contenere altri significati; dal fondo emerge sempre un
qualcosa: un messaggio, un contatto, un’ombra, un’entità. Un qualcosa nel quale intravedere e cercare la propria interiorità, il proprio vissuto, la propria intimità emozionale.
Le ombre sono presenze di noi stessi aggettate sulla tela e riversate di nuovo su di noi in un rapporto di interscambio emozionale tra l’artista, l’opera e lo spettatore.
Nelle sue opere c’è sempre qualcos’altro da scoprire, un leggere ”oltre”, un andare al di là delle apparenze che provoca irrimediabilmente una reazione emotiva e passionale.
Ma l’emozione si sa è espressa in chiave pittorica dalla “luce”: come Rothko insegna: la luce “è l’emotività che succede al mito”.
La luce contiene in sé un potenziale drammatico ed emotivo e solo la luce può, in senso pittorico, rappresentare l’emotività tra esseri umani intesa come interazione, compartecipazione, empatia.
La sua ricerca pittorica è soprattutto focalizzata sulla luce: la linea orizzontale non rimane costretta in un geometrismo fine a se stesso perché viene fusa ed esaltata dalla luce che pervade tutta la tela attraverso fendenti a volte anche violenti.
Elemento lineare ed elemento coloristico vengono magistralmente mescolati e fusi dalla luce con accenti di intenso lirismo.
La tessitura della trama non impedisce alla luce di penetrare, di inondare, di esaltare: anzi è la stessa trama che si fa luce: una sorta di energia emergente, che con andamento “regolato e composto” pervade la tela, le conferisce ritmo e “conduce” l’opera come una direzione d’orchestra occulta, la fa pulsare, vibrare e le da vita.
O piuttosto le da “musica”, quella musica a cui Williamson si ispira costantemente nelle sue composizioni pittoriche sulla scorta della lezione Kandiskyana: una musica che è musica interiore di chi ha colto il giusto bilanciamento tra raziocinio e passione.
La sua opera è in definitiva “la melodia delle emozioni”, la musica della passione.