Omertà sfiguramento sublime reliquie
di Antonio Vitolo
La filosofia antica e l’estetica moderna convergono nell’alludere ad una consistente affinità tra il bello e il vero. O, sarebbe piùrigoroso supporre, tra la nozione intersoggettiva del bello e il verosimile condivisibile. I neoclassici, in particolare, istituirono una sostanziale equivalenza tra verità e bellezza. Le rivoluzioni industriali e l’apporto delle avanguardie, soprattutto quella rotonovecentesca, hanno offuscato tale condizione, al punto che oggi il relativismo – molto differente dalla relatività –
e la dissoluzione della forma figurale possono esser considerati indisgiungibili dallo spazio metropolitano, dall’esistenza in esso iscritta, dalle produzioni mentali che in esso si situano. Dal punto di vista della Tiefenpsychologie muoverò a presentare alcune ipotesi e alcune opinioni personali intorno al rapporta tra figura, forma, pensiero)sentimento, spazio e tempo metropolitani. Quanto ciò riguardi il tema dell’utopia dipende senza dubbio da una peculiare angolazione dell’utopia, che nel pensiero occidentale, è un’inconfondibile riformulazione del reale, sulla via della fantasia e della libertà, non dell’arbitrio. L’utopia appare, pertanto, non è luogo vano – ciò spetta, se mai, all’atopia -, ma un luogo non immediatamente abitabile e fruibile, irriducibile alla fisicità che attesta la contingenza materiale nello spazio. Il vincolo tematico predisposto per la riflessione del convegno implica infine l’eresia – scelta,opzione – elettivamente tesa ad alto grado libertà, perciò antitetica al dogma, al canone. Una scelta può essere un’idea di città, per rievocare il titolo d’un significativo saggio di Rijkwert. Un itinerario della mente, prefigurazione di nuovi equilibri, approdi ignoti, altro, ad ogni costo. E di tale travagliata oltranza più avanti si parlerà, nel meditare sull’intreccio di vecchio e nuovo, di tollerabile e intollerabile, di bello,sublime, brutto, distruttivo e autodistruttivo che si manifesta e si cela in noi, in Napoli, luogo carico di storia votato al nuovo, lacerato da spinte regressive e progressive, da visioni di straordinaria bellezza e orrori mortiferi che strappano indignazione. La psicoanalisi e la psicologia analitica pongono al centro dell’attenzione teorica e clinica l’invisibile, che non coincide con l’inosservabile. E’ la gamma delle percezioni, sensazioni, intuizioni, pensieri, che fonda, a partire dal sogno e dalla fantasia inconscia, originaria e potenzialmente originale, il soggetto e la comunità. Lo spazio e il tempo della psiche comportano una stringente contraddizione : quanto più l’individuo tenta di raccogliere ed esprimere la propria intimità, tanto più attinge l’esperienza di ciò che è radicalmente perturbante, straniero, – S. Freud, Das Unheimliche, Il perturbante, 1919 – . Similmente la reintegrazione delle parti psichiche scisse dona bellezza, senso, autenticità al soggetto che s’apre ad un nuovo assetto esistenziale ( ciò vale per la nevrosi, mentre la condizione psicotica, pur curabile, difficilmente guaribile, assomiglia, secondo una metafora usata da C. G. Jung in una lettera a S. Freud il 19 giugno 1908, alle rovine di Pompei ).
Prenderò in esame un luogo particolare, il volto umano, estendendo alcune considerazioni alla figura umana e ad alcuni oggetti che nelle arti figurative, così come nello spazio metropolitano, caratterizzano le vicissitudini umane, darwinianamente vòlte al mutamento, pur con scansioni talora drammatiche ( povertà, malattie, guerre, violenze ) . Quel che Giuseppe Arcimboldi, detto Arcimboldo, dipinge in forma di volto nelle quattro stagioni conservate a Vienna, è una rinascimentale virata di audacia ideativa : minerali, vegetali, animali, vengono ordinati in un paradossale, letteralmente sovrumano, ordine naturale, sovrapersonale. Non dissimilmente la Melancholia I di Albrecht Durer (( ATTENZ.NE : il mio PC è privo di dieresi/ Umlaut sulla u di Durer e preferirei non scrivere Duerer )) dispiega, al volto umano che contempla, i solidi che attestano il sistema copernicano e il nesso eliocentrismo-malinconia. Non stupisca il salto pindarico col quale, dopo i due brevi cenni, passo a Il grido di Munch, 1893, ove una figura femminile, sul ponte in un paesaggio scandinavo, le mani serrate sulle orecchie, il viso ridotto a maschera allucinata, fissa chi guarda il dipinto, la bocca ovulata nello spasmo angoscioso dell’urlare. Sia qui menzionato il tratto distintivo che marca l’arte : la capacità di anticipare gli umori collettivi d’un’epoca, lo Zeitgeist .Prima ancora dell’avanguardia, Munch contrae in quel volto la più adeguata espressione umana dinanzi alla crisi sociale che culminerà nella I guerra mondiale. Tragicamente icastico, quel volto lascia risuonare un’eco insopprimibile. Ad esso si affianca la contrazione del tempo distintiva dell’ Ulisse di J. Joyce e, in seguito, La metamorfosi di F. Kafka.
L’irrefrenabile spirito di guerra, dopo aver inizialmente illuso persino Freud e Jung, cederà il posto a considerazioni addolorate e pensose di ambedue ( le visioni anticipatrici di Jung nell’ autobiografia Ricordi,sogni,riflessioni, le amare Considerazioni attuali sulla guerra e la morte,Caducità, Lutto e melanconia di Freud ). Due anni prima della II guerra mondiale il dipinto di Magritte L’ésprit de géometrie, presenta in forma sconvolgente due figure e due volti : una madre e un infante, dai corpi plastici e torniti, che reggono due teste ‘invertite’. La madre ha il volto d’un infante, questi ha il volto d’una madre. L’espressione dei due è ‘psicoticamente’ normale e florida ! Ancora una volta l’arte anticipa il terrore d’una guerra, partita dai totalitarismi, dai Lager, dai gulag e conclusa dalla bomba atomica. La ripresa degli scampati, durissima eppur vera e bella, è stata piena d utopie ed eresìe. Di contro Giacometti, uscito dal surrealismo, affine al freudismo, scolpirà figurine dalle gambe smisurate, il volto minuscolo. Egli afferma essere già un vero miracolo la simmetria del viso umano – ad es. la distanza tra gli occhi, il rapporto tra occhi, naso, bocca. Anche in artiste partenopee contemporanee, Lucia Gangari, Adriana Del Vento, Nicca Iovinella, si registra un travaglio formale che, muovando dal bisogno di ‘abitarsi’ ( Iovinella ), culmina in dipinti ( Gangari ) o sculture ( Del Vento ) che additano, nel caso della prima, il passaggio dalle orme a busti e volti femminili marcati dallo sguardo divergente per malinconia o depressione, nel caso della seconda il conseguimento d’una forma spettrale, luminescente, creata per ‘levare’ più che per ‘porre’ ( Michelangelo ), vitale al confine della morte. Napoli pullula di reliquie e produce, per perverso sortilegio di camorra – una struttura familista che doppia lo stato in forma incestuosa e omicida. Napoli sopravvive per l’omertà degli abitanti, capaci di reggere il vuoto in cui masce il pensare e il rischio della fine, di vivere lo sfaldarsi di forme belle e vere, nel dominio del cattivo gusto, della presunzione borghese di eternare profitti e silenzi nel cinismo. La civiltà industriale, per così dire, avanzata, comporta alterazioni dell’esperienza dello spazio e del tempo. Si pensi a Tempi moderni di Charlie Chaplin e al concetto di Dorfles di intervallo perduto, affine alla perdita del centro ( Eliade ). La metropoli incarna tali aspetti nel suo ‘ventre’, inscenando notte e giorno desideri e paure, commisurate agli oggetti depersonalizzati che rispecchiano la crisi del soggetto. Lo ‘sfiguramento’ della nostra età si può cogliere, ad esempio, nella liposuzione, nel lfting, nei trapianti. Accanto a ciò procede una riduzione della soglia della coscienza, un abaissement du niveau mental, che decentra nello spazio e nel tempo noi soggetti immersi nel ritmo d’una qualunque giornata metropolitana, ove non si percepisce il tempo proprizio per la nascita e la straordinaria, laicamente misteriosa ‘chiamata’ insita nella morte. Un evento recentissimo, l’uccisione malavitosa di Petru, ambulante romeno, caduto per mano sinora ignota nella stazione di Montesanto, sotto gli occhi della moglie inerme e d’una folla, che obliterava, come suol dirsi con veteroneo semema, il biglietto di viaggio, nella completa inazione. Le telecamere che hanno ripreso la scena inducono a ripensare ad un’eccentrica poesia di Carducci ( ‘Odi barbare’ ), Alla stazione in una mattina d’autunno, ove risuona la tessera al secco taglio dai della guardia. Non so quanto muta, ma certo quasi cieca all’evento, è stata la folla di Napoli, che, per quanto la morte colga noi umani sempre soli, ha isolato e sfigurato sé stessa molto più che Petru, operando una dissoluzione della coerenza di volto e identità, un ottundimento conformista – antieretico -, iperpragmatista – non utopico -.di ciò dobbiamo, possiamo indignarci, rammentando che, secondo l’Anonimo ricordato nei libri Loescher, è bello doppo il morire vivere anchora . Bello o sublime, in virtù dell’etimo di sublime, che allude a uno sguardo superiore in tralice e, forse, alla sublimazione, quintessenza dell’arte e delle scienze naturali?